Luigi Bianconi «D’Annunzio critico» (1940)

Recensione a Luigi Bianconi, D’Annunzio critico (Firenze, Sansoni, 1940), in «Leonardo», a. XI, nn. 11-12, Roma, novembre-dicembre 1940, pp. 313-314.

LUIGI BIANCONI «D’Annunzio critico»

Dopo un Baudelaire critico ecco nella stessa collezione Sansoni (Pubblicazioni della Scuola di Filologia moderna della Università di Roma) un D’Annunzio critico.

In verità questi studi sulla critica fatta dai poeti ci sembrano nativamente assai ibridi e sempre laterali, inevitabilmente farraginosi intorno a un piccolo centro di idee che si riduce all’osservazione di una funzionalità di quella critica alla poetica e al tentativo di trovare una vocazione alla critica insita nell’atteggiamento del poeta. Se questa deduzione aveva per Baudelaire qualche buona probabilità (e per Baudelaire il lavoro di Macchia aveva il valore di un ottimo esame della sua cultura, del suo mondo di predilezioni: e quasi diventava la presentazione del mondo romantico come veniva rielaborato dal maggior padre della nuova poesia), nessun addentellato esiste per D’Annunzio, poeta quant’altri mai dotato di spontanea energia creatrice e letteraria, ma sprovvisto di intelligenza e di capacità critica fuori del suo costruire.

E perciò si snoda una serie di variazioni periferiche che non azzardano giudizi centrali perché tale non è il loro compito e d’altra parte non possono costruire una critica, che non esiste. Le doti del saggista, che appare ben preparato e non privo di sagacità letteraria, devono cosí risolversi ad una storia dei vari atteggiamenti dello scrittore in veste di critico e ad un loro riassorbimento ora diretto ora indiretto nelle intenzioni del poeta.

Perché, se D’Annunzio in una storia della critica e del gusto vale meno di un Conti, là dove i suoi articoli sono viva palpitante preparazione alla sua personale creazione, valgono proprio per il loro tono, per la figura estetica che assumono, non per gli apprezzamenti, per le idee che ci presentano.

Nel libro del Bianconi vengono lumeggiate le relazioni e le parentele possibili di D’Annunzio con Croce e Carducci, l’ambiente contiano, e proprio mentre si indicano chiaramente la sua poetica, i suoi ideali, la sua vera natura di grande barbaro raffinato, una ipotetica inserzione della poesia dannunziana in un clima romantico. Quest’ultima trovata del critico ci sembra tutta posticcia e la diremmo irrilevante se non ci spiegasse una preoccupazione che ci dispiace. Il Bianconi, per la paura di adoperare la parola decadentismo a proposito del D’Annunzio e di una svolta della poesia italiana, si affanna a dimostrare che si deve parlare di romanticismo e che anzi il tipo dannunziano corrisponde in tutto e per tutto ad un certo modello romantico. Ora, se è la parola che dispiace, se ne adoperi un’altra piú appropriata se possibile, ma in ogni modo distintiva di quel nuovo periodo ben diverso dal romanticismo e del resto si ricordi che anche a quella parola si era dato un puro valore storico senza ombra di condanna né di esaltazione e che non vi era altro che un onesto sforzo di accertare un cambiamento, una rivoluzione estetica e poetica che solo i ciechi possono negare. Discorso che ci condurrebbe a piú lungo discorso se non ci sembrasse inutile tutto ciò che può sembrare effetto di interesse personale. E dunque il Bianconi rituffa il D’Annunzio nel grande mare romantico per timore di negare al poeta vate ciò che nessuno si è sognato di negare, e cioè la sua qualità di poeta vero, di grande poeta. E con ciò in verità tutto l’esame ne soffre, restando ambiguo fra una valorizzazione nuova del poeta e la ricostruzione dei suoi articoli critici sulle basi comuni della esegesi dannunziana.

E positivamente, quali le conclusioni che dopo questa fatica sugli articoli dannunziani delle «Cronache», «Tribuna», ecc. si possono riconfermare? Disinteresse alle idee, sottomissione di queste al puntuale desiderio del creatore e dell’esteta: cosí gli amori per Wagner e poi la condanna di «pazza ed illogica» per la sua rivoluzione musicale e un «torniamo all’antico» accanto alle speranze per la musica moderna portatrice di vita. E tutto si riassume sempre nella valutazione della bellezza assoluta dell’arte vita, del suono corposo di voluttà vitale. Ma come tutto ciò diventi monotono ed inutile se avulso dal mondo creativo, dal fare dannunziano lo dimostra proprio la costruzione di questo libro.